L’articolo 583 bis del codice penale, rubricato “Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”, punisce
“Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.
Ai fini del presente articolo si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l”escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni l’effetto dello stesso tipo.
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. la pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.
La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.
La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p. per il reato di cui al presente articolo comporta:
la decadenza dall’esercizio della potestà del genitore;
l’interdizione perpetua da qualunque ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.
Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia. in tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della Giustizia”.
La norma tutela il diritto della donna alla propria integrità, sotto il profilo fisico e psichico.
Nel caso in cui il soggetto passivo sia un minore, si tutela altresì l’armonioso ed equilibrato sviluppo della sua personalità.
Il fatto che le suddette pratiche lesive/menomative traggano fondamento da tradizioni culturali e/o religiose non può valere come attenuante, né tanto meno come causa di giustificazione.
Avv. Tommaso Barausse