Con il termine “schiavitù” si indica “la condizione dell’individuo completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio di un altro individuo riconosciuto come suo proprietario, implicante la privazione di ogni diritto umano” (cit. Devoto – Oli, Dizionario della lingua italiana).
In ambito giuridico, l’articolo 600 del codice penale, rubricato come “Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” disciplina uno dei più gravi delitti previsti dal nostro ordinamento.
Detta disposizione stabilisce che:
“Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativo, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni.
La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una condizione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona”.
La norma tutela la libertà personale dell’individuo, incriminando le condotte che riducano il medesimo a mera res a disposizione del soggetto attivo.
Con riferimento al fenomeno dell’immigrazione, la Cassazione ha ravvisato il delitto in esame nella condotta di alcuni soggetti che, dopo aver favorito l’ingresso in Italia di cittadine straniere, con l’ingannevole prospettiva di lavoro, le riducevano in condizioni di totale soggezione, esercitando in loro danno pratiche vessatorie di ogni sorta: privazione dei documenti personali, trasferimento da un campo nomadi all’altro, con controlli sistematici e con appropriazione degli incassi della prostituzione che le vittime erano costrette ad esercitare (Cass. V, 16.12.1997).
Sulla questione, si precisa altresì che il reato in oggetto può concorrere con quello di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
Integra il reato di riduzione in schiavitù anche la condotta di chi approfitta della mancanza di alternative esistenziali di un immigrato da un paese povero, imponendogli condizioni di vita penose e sfruttandone le prestazioni lavorative al fine di conseguire il saldo del debito da questi contratto con chi ne ha agevolato l’immigrazione clandestina (Cass. V, 19.03.2012).
Avv. Tommaso Barausse